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Alcune persone trovano armonia in se stesse solo quando sono in movimento. Del movimento amano la potenza catartica, il sudore e la fatica che ne derivano, la capacità di svuotare la testa dai pensieri o di ridimensionarli. È crudele, ma così perfettamente umano, che proprio quel muoversi, quello sforzo, passino attraverso il fare violenza al proprio corpo.
Già, perché correre, che del movimento umano è l'attività principe, altro non è che affibbiare botte ripetute ai piedi, alle ginocchia, alle anche e alla schiena, in così gran numero che viede da chiedersi come faccia il corpo a non rompersi. Ecco, infatti a volte si rompe. Ed ecco che non si può più scappare dalle ansie, dalle paure, dallo stress quotidiano e magari anche dalla persone. Si è prigionieri dell'unica gabbia da cui non si può fuggire, il proprio corpo infortunato. Un'auto rotta si rottama per comprarne una nuova, una gomma bucata si ripara, ma una gamba che fa male può guarire con una sola medicina, il tempo. Il tempo è crudele perché non torna più e perché sprecarlo è insopportabile. Perdere tempo mette fretta. Il tempo è crudele perché scorre lento quando si sta male. È una punizione.
Non c'è una vera risposta alla domanda di un amico infortunato che si chiede "ma io quanto dovrò ancora aspettare per tornare a correre? Due mesi per me sono già insopportabili, io sto male, non riesco più nemmeno ad interessarmi alle cose che di solito mi rendono felice". Non c'è una vera risposta, alla fine bisogna solo continuare a provare: provare a prendere una medicina, provare a lasciare che il corpo guarisca giorno dopo giorno, provare qualcosa di nuovo. Già, magari un altro sport, magari uno che faccia viaggiare lontano, che faccia vedere luoghi.
Non c'è una singola strada diritta e, quando si sta male, sembra che una strada non ci sia proprio. Ma noi, correndo, abbiamo imparato una cosa: che con i nostri piedi possiamo andare dappertutto, anche uscire dal sentiero e fare scoperte inaspettate. Prima o poi su quel sentiero ci torneremo.
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